Nuova traduzione per “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov
“La moglie di Bulgakov ha cambiato il finale del suo libro dopo la morte dello scrittore”. Un brusio sorpreso segue le parole della professoressa Rita Giuliani. L’aula dell’Istituto di Cultura Russa è piena di giovani per la presentazione della nuova traduzione del “Maestro e Margherita”, a cura di Caterina Garzonio.
Articolo e foto di Nadia Plamadeala
Stanno per scoprire che Bulgakov ha sofferto per tutta la vita di un senso di colpa ignoto, che sua moglie ha voluto cancellare – probabilmente un ultimo atto d’amore. “Il Maestro e Margherita” ha una storia travagliata. Lo stesso autore brucia la prima versione del romanzo per poi riscriverlo. Bulgakov è uno degli autori russi più tradotti in Italia. Dalle traduzioni storiche del 1967, di Olsoufieva e Drisdo, a quelle degli ultimi anni, di Crepax e Garzonio, si nota un’evoluzione del linguaggio,
meno letterario e più vicino alla quotidianità. Il gatto Behemot acquisisce nella traduzione di Crepax il patronimico Ippopotamovic’, “il signore biondo”, che nella traduzione di Garzonio diventa “biondino”.
Come l’amore di Margherita salva il Maestro, anche Bulgakov è salvato da donne che irrompono nelle sue opere, a cominciare da sua moglie Elena Šilovskaja, che edita il romanzo e lo fa pubblicare. La traduttrice Maria Olsoufieva, poi è la prima a scoprirlo e a diffonderlo in Italia. Al successo postumo dello scrittore contribuiscono altre figure femminili, la sua biografa Marietta Čudakova e la professoressa Rita Giuliani, studiosa di Bulgakov da quarant’anni.
Grazie alla nuova traduzione di Caterina Garzonio, naturale, soprattutto nei dialoghi, il romanzo rimane attuale anche per i giovani. Il genio di Bulgakov mantiene la sua popolarità perché, come diceva profetico il personaggio Woland, “i manoscritti non bruciano”.
(Nella foto Rita Giuliani, a sin., e Lucetta Negarvill)
Commento (1)
Guido| ottobre 9, 2023
La traduzione di Caterina Garzonio secondo me è la migliore per il linguaggio più scorrevole. Ad esempio la “Lobbietta” di Berlioz di molte traduzioni diventa, giustamente, “cappello”