Roma e l’Ungheria, dal Barocco ai giorni nostri una lunga storia d’amore
Intervista a Istvan Puskas, direttore dell’Accademia d’Ungheria
Articolo e video di Ilaria Di Nardo
L’edificio, che pone le basi su un porto fluviale di epoca romana, nel 1638 fu acquistato da Orazio Falconieri, ed è così che la famiglia con lo stemma del falco vi si stabilì, decidendo però di farlo restaurare dal grande Francesco Borromini, in quanto troppo modesto e non consono al rango della famiglia.
Alzando gli occhi è possibile vedere in alto tre cerchi d’oro (spirito, materia, anima) con il sole raggiante in un’unica direzione: bellissimi stucchi che rappresentano il concetto filosofico di connessione tra materia e spirito.
Si respira ancora nell’aria la cultura di allora. Nel 1894, infatti, Vilmos Fraknoi acquistò un terreno nel quartiere Nomentano e qui fece costruire un edificio che venne inaugurato nell’aprile del 1894 come sede dell’Istituto Storico Ungherese.
Venivano ospitati borsisti e studiosi e solo l’anno successivo Franknoi decise di costruire un ulteriore edificio, l’Accademia di Belle Arti per artisti ungheresi a Roma, che oggi è l’ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede. Con la caduta della monarchia Austro-Ungarica il nuovo governo aprì le porte verso l’Europa. Fu allora che venne acquistato palazzo Falconieri in via Giulia. Tutt’ora l’ambiente è frequentato da artisti, studenti e studiosi, tutti borsisti dell’Accademia. Dal 1992 l’istituto ospita una galleria d’arte, dove si svolgono ogni anno mostre di borsisti dell’Accademia e di altri artisti ungheresi. Nella sala del palazzo, invece, si tengono spesso convegni, concerti e proiezioni cinematografiche.
Un polo culturale e un luogo al centro della capitale, sicuramente da visitare, perché la cultura vive proprio negli scambi, a volte anche inaspettati!
Istvan Puskas, direttore dell’Accademia d’Ungheria è un uomo dal sorriso dolce, pronto ad accogliermi con una gentilezza difficilmente dimenticabile, come gli stucchi meravigliosi del Borromini che contornano la sala dove vengo accolta per l’intervista.
Siamo in pieno centro a Roma, qual è la storia di questo istituto?
“La storia del palazzo risale al Rinascimento, l’edificio viene costruito nel ‘500 e 100 anni dopo, nella fioritura del Barocco romano, viene restaurato da Francesco Borromini. Falconieri, che allora abitava l’edificio, affida all’artista questo intervento così importante: realizzare il palazzo dove siamo oggi. Viene acquistato poi dallo Stato ungherese nel 1928. L’Accademia d’Ungheria fu fondata proprio in quell’anno”.
Qual è il legame che una cultura come quella ungherese può avere con la nostra?
“Una storia lunghissima, fortunatamente complicatissima. Ancora prima di diventare nazione, cioè già dal Medioevo, i due Paesi hanno un legame strettissimo, sia nel campo dell’economia che della cultura. Giusto per citare un episodio emblematico, il primo re cattolico ungherese nel 1030 fonda un ostello a Roma per i pellegrini ungheresi, accanto alla Basilica di San Pietro; questa struttura oggi non esiste più perché la Chiesa ha costruito la basilica attuale. Però possiamo dire che da ormai quasi mille anni c’è una presenza fisica, e quindi architettonica, dell’Ungheria a Roma. Poi ci sono delle epoche di particolare convergenza, come la seconda metà del ‘400, quando sotto il regno di re Mattia Corvino, il Rinascimento italiano arriva per la prima volta oltre le Alpi, in Ungheria, nella corte di questo Re Magiaro, che invita vari artisti italiani a lavorare nel suo palazzo, poiché aveva ottimi rapporti con la famiglia Medici. Fortunatamente anche oggi i rapporti sono molto vivaci”.
Quanto è importante unire culture così diverse?
“È importante perché penso che la cultura viva proprio di questo. Dobbiamo dire che in questa relazione è più l’Italia ad ispirare la cultura ungherese, come centro di cultura europea e culla della civiltà classica. Però potremmo citare degli episodi del movimento contrario: facendo ad esempio il nome del compositore ungherese Franz List, che visse per lunghi periodi a Roma, ispirando la musica italiana nell’800. Potrei usare la metafora della rete, che è molto evidente oggi dato che viviamo nell’epoca di internet, ma la cultura deve sempre vivere così, come una rete. Ci sono singoli centri ed è giusto che tutte le comunità abbiano le proprie identità culturali, però la cultura vive proprio negli scambi. Vive proprio come una rete, nelle interazioni”.