L’ospitalità trova casa all’Accademia di Francia

Intervista a Sébastien Thiéry borsista a Villa Medici e a Lorenzo Romito, curatore della mostra.

Articolo di Francesca Messineo

(Nota: questo articolo è stato chiuso prima dell’emissione dei provvedimenti governativi legati all’emergenza Covid-19)

È sera e cammino spedita verso il Noworking, un luogo di studio e socialità a San Lorenzo dove si respira un’atmosfera intima e familiare. Appena entro vengo invitata a sedere davanti a una zuppa calda e un bicchiere di vino rosso, inizia così la mia intervista a Sébastien Thiéry e Lorenzo Romito.

Sébastien è uno scrittore francese, attualmente ospitato in residenza artistica a Villa Medici, con un progetto davvero originale: chiedere all’UNESCO di dichiarare l’atto dell’ospitalità patrimonio immateriale dell’umanità. Lorenzo è il curatore della mostra che Sébastien, insieme ad altri borsisti, realizzeranno presso l’Accademia di Francia a Roma a partire dal 9 luglio 2020 e che intende esplorare il rapporto che si instaura tra gli artisti stranieri e i luoghi più concreti, vissuti e liminali della ‘città eterna’.

Quando vi siete incontrati e com’è nata la vostra collaborazione?

Lorenzo: “Ci incontrammo a Parigi, nel 2006, nei pressi del Canal Saint-Martin durante una protesta per i diritti dei ‘senza casa’. Mi colpì soprattutto il carattere creativo e performativo dell’azione che invitava i cittadini solidali a sperimentare in prima persona l’esperienza di dormire per strada. L’idea piacque moltissimo al nostro collettivo – gli Stalker – e decidemmo di riproporla a Roma, sotto il ponte Garibaldi”.

Sébastien: “Ricordo quel giorno… Personalmente considero sempre l’atto creativo come un gesto politico, perché ogni rappresentazione si pone in dialogo con la realtà descritta, la influenza e la trasforma. Se pensiamo alla nostra società, le immagini sono diventate un vero e proprio strumento di governo… Uno stesso messaggio può essere artistico, politico o giuridico, è il circuito di circolazione che fa la differenza”.

In effetti la tua opera è caratterizzata da un forte impegno sociale, come nasce l’idea di far inserire l’ospitalità nella lista dei patrimoni protetti dall’UNESCO?

Sébastien: “Questa idea è maturata grazie al lavoro all’interno di PEROU (Polo per l’Esplorazione delle Risorse Urbane) e del percorso a fianco dei migranti a Parigi e a Calais. La nostra definizione di ospitalità è ampia: il desiderio di conoscenza reciproca, la convinzione che lo straniero non sia un nemico, il sostegno a una persona in difficoltà. È incredibile la bellezza e la gioia che produce una relazione che metta al centro l’accoglienza e l’aiuto non condizionato. Tutto ciò deve essere considerato un bene comune, soprattutto per le generazioni future… La cosiddetta ‘crisi migratoria’ è niente rispetto a quello che si troveranno a vivere i nostri figli e nipoti. E quale strumento migliore per affrontare queste sfide che rinsaldare il sentimento e le pratiche di ospitalità a livello globale?”.

Lorenzo: “L’ospitalità è una vera e propria ‘esperienza fondativa’, dà senso alla parola ‘umanità’, è presente in tutte le culture, è un patrimonio da preservare per il bene di tutti… Il lavoro di Sébastien è sicuramente ‘simbolico’ ma ha un forte potenziale ‘trasformativo’. Siamo convinti che sia giunto il momento del riconoscimento pubblico dell’ospitalità e dell’accoglienza, di cui – non dimentichiamolo – il salvataggio è il primo atto”.

E a livello pratico come vi state muovendo per rendere possibile questo riconoscimento?

Sébastien: “Durante la mia residenza a Villa Medici produrrò un dossier che documenti diversi atti di ospitalità in tutto il Mediterraneo. Inoltre lavorare all’Accademia di Francia mi permette di raggiungere un pubblico più vasto e di far circolare questa idea anche a livello istituzionale. Ma è il caso di fare un passo indietro: ancora prima di prendere in esame le procedure per la candidatura all’UNESCO e di cercare un impatto pubblico, questo progetto ha come obiettivo generare una presa di consapevolezza individuale e collettiva rispetto a una pratica esistente. Come? Creando una rappresentazione di questa ‘relazione ospitale’ che sia utile e significativa per chi la mette in atto nella vita quotidiana”.

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