Kalamon.it incontra gli Istituti di cultura di Roma. Intervista con la direttrice del Goethe-Institut, Gabriele Kreuter-Lenz
Articolo di Sara D’Aversa
Dal 2014 Gabriele Kreuter-Lenz è la Direttrice del Goethe-Institut. Dalla Capitale è responsabile generale della rete degli Istituti di cultura tedeschi in Italia.
“Roma rappresenta una delle mete più ambite, e in particolare per noi tedeschi è la città in cui prima o poi si sogna di poter vivere per un lungo periodo. Questa fortuna è toccata a me”.
Perché proprio il Goethe-Institut?
Penso che sia il lavoro più interessante che avrei potuto trovare. Ho studiato giurisprudenza e psicologia, specializzandomi in diritto penale e criminologia. La gente si chiede cosa ci faccia qui. L’idea per me è sempre stata quella di vivere in un Paese diverso dalla Germania, perché mi piace conoscere nuova gente, imparare nuove lingue. Soprattutto amo lavorare nella cultura. Il Goethe-Institut riunisce tutti i miei desideri.
Se dovesse descrivere gli obiettivi dell’Istituto con tre parole, quali sarebbero?
Sprache, Kultur, Deutschland. Lingua, cultura, Germania. Questo è lo slogan dell’Istituto e nell’insieme descrive ciò che facciamo: promuoviamo la conoscenza della lingua tedesca, la collaborazione culturale e offriamo informazioni sulla Germania.
Partirei dal nome dell’Istituto e dall’autore a cui rimanda. Durante il suo secondo viaggio in Italia Goethe scrive: «Onestà tedesca ovunque cercherai invano, c’è vita e animazione qui [in Italia], ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida». Era il Settecento. Nel frattempo il mondo è andato avanti, tanto in Germania quanto in Italia la storia ha fatto il suo corso. Ma differenze culturali di fondo ancora si avvertono, e sono inevitabili. Come cercate di superarle, in qualità di mediatori del dialogo italo-tedesco?
Non veniamo in Italia per dire “adesso vi mostriamo come si fa cultura”. Lavoriamo insieme a partner italiani: teatri, gruppi di artisti, ballerini, e insieme sviluppiamo un progetto culturale. Questa è la miglior forma di mediazione. Ci sono ancora differenze tra Italia e Germania, così come ci sono tra Germania e Spagna o Francia e tra qualsiasi Paese. È normale ed è anche la cosa più interessante: capire come lavorate e pensate voi italiani rispetto a come lo facciamo noi tedeschi.
E quali sono i punti di incontro tra le due culture?
L’interesse per la cultura è simile. Perfino i problemi di ciascuno Stato non sono molto diversi. Penso che ad essere diverso sia il grado del problema, non le problematiche stesse che, invece, coincidono: migrazione, disoccupazione. Proviamo a lavorare insieme non per trovare una soluzione, ma per stimolare una riflessione su questi temi.
Come percepiscono il vostro lavoro i cittadini italiani, soprattutto a Roma?
Credo che la Germania catturi molto l’attenzione dell’Italia: è vicina, dà l’impressione di essere forte (anche se secondo me non lo è) e così gli italiani si interessano molto. Come i tedeschi sono interessati all’Italia, un Paese da sogno: è bello e le persone sono amabili. Nei miei ultimi cinque anni qui ho potuto constatare come sempre più giovani vengono non solo per imparare il tedesco, ma anche per avere informazioni sulla Germania. Sono curiosi. Di certo non possiamo raggiungere tutti, ma soprattutto qui a Roma abbiamo un grande riscontro.
Nella Capitale sono quasi 50 gli Istituti di cultura e le Accademie straniere. Qual è il vostro rapporto con loro?
Lavoriamo insieme quando è possibile, se il tema è adatto. Due anni fa, ad esempio, in occasione dei 200 anni dal viaggio in Italia di Goethe, abbiamo collaborato con la Casa di Goethe, museo nato dalle stanze in cui l’autore soggiornò. O, ancora, abbiamo organizzato un concerto con un compositore che era stato stagista presso l’Accademia tedesca di Villa Massimo. In collaborazione con l’Istituto storico germanico abbiamo ospitato un congresso sul tema “Italia e Germania nel passato”. Ultimamente abbiamo lavorato con la Fondazione Friedrich- Ebert, che ha condotto un sondaggio su italiani e tedeschi a tema Europa. Abbiamo mostrato i risultati qui al Goethe, parlandone con diversi esperti. Dipende dal tema e da come ci permette di lavorare insieme. L’obiettivo infondo è lo stesso: far conoscere la cultura del proprio Paese all’estero.
Qual è il vostro augurio per il futuro, anche in vista di un progetto come Kalamon, che cerca di far dialogare tra loro culture diverse?
Uno dei progetti che vorremmo sviluppare parte da una parola tedesca intraducibile in italiano, Heimat. È il senso di appartenenza, la sensazione di sentirsi a casa propria. La domanda che ci poniamo sperando di poter coinvolgere persone di diversi Paesi, è: cosa vuol dire oggi Heimat? Per me è molto difficile rispondere, perché Heimat non è solo la casa in cui sono nata (quella non c’è più, l’ho venduta), ma dipende dalle persone con cui sono, i miei amici, le persone che incontro. Questo è parte di Heimat e per ognuno è diverso.
Goethe-Institut: la cultura dell’incontro. Articolo di Sara D’Aversa