Ruanda, 25 anni dopo: i ritratti, il cambiamento
Il giornalista e documentarista italiano Giordano Cossu e il fotografo e artista francese Arno Lafontaine ci raccontano il Ruanda 25 anni dopo il genocidio, attraverso i volti e le storie dei sopravvissuti.
Articolo e foto di Danila Gaggiotti Prima parte
Presso la Banca Fideuram di via Cicerone a Roma si è conclusa il 19 aprile scorso la mostra “Ruanda, 20 anni dopo. Ritratti del cambiamento”. L’esposizione fotografica, inserita nel programma del Mese della Fotografia 2019, è legata al webdoc vincitore del Prix Italia 2014 per La Stampa.
Foto di grandi dimensioni, realizzate con una pellicola particolare e non più in produzione, risaltano per i colori sgargianti sulle bianche mura dell’edificio. Le ha scattate il fotografo Arno Lafontaine insieme a Giordano Cossu tra il 2013 e il 2014, quando, in occasione del ventesimo anniversario del genocidio, hanno attraversato il Ruanda incontrando gli abitanti dei villaggi e dialogando con essi. La vecchia Polaroid del 1937, nascosta dietro una cassa di legno in modo da armonizzarsi con l’ambiente, ha fatto avvicinare a loro le persone incuriosite.
Una signora siede su un banchetto. Due uomini si guardano. Due ragazze e un bambino siedono abbracciate su uno scalino. Un uomo con un cappello ci fissa. Una signora anziana sta sulla porta di casa, una giovane nei campi.
A prima vista sono solo delle foto dai colori accesi: marrone, verde, giallo. Ci avviciniamo alle didascalie. Leggiamo i nomi dei soggetti fotografati e scopriamo la loro storia. Ed ecco, le foto si tingono di ben altri colori. Vediamo il dolore, il perdono, la fatica, l’amore. Vediamo nella semplicità delle occupazioni quotidiane e nelle umili abitazioni il baluardo della vita di questi Ruandesi. Scorgiamo un atto di civiltà nella vicinanza tra coloro che, in passato, sono stati nemici.
Di ogni personaggio sono state scattate due foto: una gli è stata donata, l’altra è stata esposta. La foto è diventata un modo per rompere le barriere e parlare senza filtri. Partendo da un generico “Come va” il giornalista ha parlato con i Ruandesi e ascoltato le loro testimonianze. Anche se oggi parlare del passato non è facile. Non si parla esplicitamente del genocidio né si pronunciano le parole “Tutsi” e “Hutu”, vittime i primi e carnefici i secondi di quello sterminio iniziato il 6 aprile del 1994 e durato per 100 giorni, nell’indifferenza generale. “In Ruanda è sconvolgente non solo quello che successe allora ma quello che accadde dopo, a livello di drammi umani”, ci spiega Giordano Cossu. L’odio razzista e la violenza del genocidio spezzarono per sempre famiglie in cui, prima del colonialismo e dell’istigazione all’odio, Hutu e Tutsi hanno sempre convissuto pacificamente.
Commento (1)
Giordano| maggio 5, 2019
Grazie per qiesto articolo, un piacere che la mostra abbia solleticato il vostro interesse a comprendere anche i drammi che, a volte, si nascondono dietro un viso o un sorriso di ogni giorno.